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La rabbia delle donne e la nonviolenza

Come concilio nonviolenza e gestione della rabbia?

Sono una femminista, perché, ancora, esiste una questione di genere nella Chiesa e nella società. Talvolta ho provato e provo rabbia. Rabbia per quelle frasi e attitudini maschiliste che non mi fanno sentire completamente legittimata a occupare uno spazio di pensiero e di azione nella mia comunità ecclesiale. 

Allora mi sono detta che è una questione di spazi e contesti: essere parte di un’associazione come Donne per la Chiesa mi offre uno spazio sicuro e protetto affettivamente, per poter dire e raccontare la mia rabbia; condividerla, nominarla, oggettivarla. E da lì ripartire insieme ad altre per poterla socializzare e trasformare in parola, in richieste chiare e assertive.

Quindi, ci sono contesti dove questa rabbia può trovare luogo; altri, quelli pubblici, dove è necessario mediarla, senza negarla; trasformarla in parole che sanno dialogare, aprire varchi, osare cammini inediti.

Conciliare, riconoscimento della rabbia e del dolore con un approccio nonviolento alle lotte che porto avanti, è il mio desiderio. Per farlo sento che devo fare un percorso interiore di riconciliazione, senza mai occultare l’ingiustizia e la violenza che mi aggredisce come donna cristiana e femminista. Questa violenza la sento ogni qual volta a una donna, a una giovane, a una bambina non si permette di aprire le ali a causa del suo genere.

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